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martedì 11 agosto 2015

Perchè raccontare storie è terapeutico


In base a recenti studi  è  emerso che  la rete ha cancellato la nostra capacità di pensiero profondo rendendoci frettolosi, distratti e schiavi del clic.
La ragione scientifica è che quando siamo in linea si rinforzano i circuiti neuronali che usiamo per analizzare superficialmente e rapidamente grandi quantità di informazioni e si indeboliscono quelli che ci permettono di capire a fondo ciò che stiamo leggendo.
I più colpiti sono coloro che fanno un uso intensivo di email, sms, siti web, social network perché con il tempo il cervello si abitua ad un processo di attenzione “dal basso”  dove ogni minimo stimolo diventa importante e la scelta sulle cose da osservare o ignorare diventa sempre meno consapevole. Ma i danni di internet non si fermano qui, quanto più l’ attenzione si parcellizza tanto meno siamo capaci di pensare a fondo e trovare soluzioni ai problemi. 
In base all’esito di 50 studi effettuati sugli effetti dei media sul cervello risulta che Internet stimola lo sviluppo di capacità visuali e spaziali ma a spese delle capacità di acquisizione di conoscenza, pensiero critico, riflessione e immaginazione, inoltre chi è abituato a leggere testi sul web la comprensione diminuisce proporzionalmente alla quantità di link che sono presenti nella pagina perché aumentano il tempo speso a decidere se seguirli o meno. Chi legge testi online ha una notevole attivazione della corteccia  prefrontale  area deputata a decidere e risolvere problemi, maggiori sono gli stimoli di prender la decisione di seguire link più minano la nostra concentrazione.
Navigare attraverso gli ipertesti, di collegamento in collegamento, è più impegnativo che leggere un libro o un giornale e ci lascia conoscenze meno approfondite. Con l’uso continuato di internet stiamo disallenando i circuiti collegati alle forme di pensiero più profonde  per privilegiare quelli che  ci consentono di raccogliere informazioni in modo superficiale. Ci concentriamo meno e ricordiamo meno.
E’ l’effetto del web sulla memoria a breve termine, quella che accoglie  le informazione prima che queste  possano essere conservate nella memoria  lungo termine. La memoria a breve termine ha una capacità limitata contiene solo quello di cui siamo consci di momento in momento, del resto non ha bisogno di avere molto spazio perché quando ospita una informazione che riteniamo utile l’attenzione che prestiamo a quel dato fa si che  venga trascritto nella memoria a lungo termine ed è solo a questo punto che si formano le ricche connessioni neuronali che danno profondità e rigore concettuale alle nostre idee. Ma se siamo continuamente interrotti, nulla rimane li abbastanza per completare la transizione nella memoria a lungo termine. Ma è quando il web diventa sociale che diventa irresistibile, gli esseri umani provano attrazione per ciò che segnala un cambiamento, quando poi le nuove informazioni sono messaggi di amici o colleghi il desiderio di sapere diventa compulsivo. Sia che si tratti di FB o Twitter, la rete ci offre un flusso continuo di interruzioni    la loro assenza può farci sentire socialmente isolati e questo è vero soprattutto per i più giovani.

La presente sintesi è un estratto del saggio The shallow. What the Internet is doing to our brains del  giornalista  Nichola Carr del New York Time e di Wired.

Le fonti sono Clifford Nass  docente di comunicazione di Standford – Jordan Grafman neuroscienziato cognitivo -  Patricia Greenfield psicologa University of California – Erpig Zhu ricercatrice di didattica  informatica  Università del Michigan – Gary Small docente di psichiatria Università of California -  Jo-Anne LeFevre direttore istituto scienze cognitive Università di Carleton – Michael Hausauer psichiatra  americano.

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